venerdì 11 dicembre 2015

LECTIO: I TALENTI

Matteo 25,14-30

Invocare
O Dio, che affidi alle mani dell'uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa' che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza. Aiutaci ad ascoltare la tua voce per essere sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo ritorno, nella speranza di sentirci servi buoni e fedeli, ed entrare nella gioia del tuo regno. Amen

Leggere
14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, se­condo le capacità di ciascuno; poi parti. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padro­ne di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevu­to cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: "Signore, mi hai consegnato cinque ta­lenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque". 21"Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: "Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". 23"Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo ta­lento e disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e racco­gli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo". 26Il padrone gli rispose: "Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile get­tatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti".

Capire
Il talento originariamente era una misura ovvero, il suo significato era attribuito alla bilancia e a un peso. Successivamente passò ad indicare la moneta. Oggi rimanendo solo il nome, vuole indicare la capacità, le doti migliori. La metafora viene usata per parlare di attori, cantanti, comici… L'uso non è del tutto errato, ma è secondario. Gesù non intendeva parlare dell'obbligo di sviluppare le proprie doti naturali, ma di far fruttare i doni spirituali da lui recati.
A sviluppare le doti naturali ci spinge già la natura, l'ambizione, la sete di guadagno. A volte, anzi, è necessario tenere a freno questa tendenza a far valere i propri talenti perché essa può diventare facilmente carrierismo, smania di imporsi sugli altri.
La parabola dei talenti si inserisce nel tema escatologico dell’attesa della venuta del Signore. Un uomo prima di partire per un viaggio affida i suoi beni ai servi. Durante la sua assenza essi si distinguono per il modo di reagire di fronte a questo atto di fiducia. Dopo molto tempo il padrone di quei servi ritorna e decide di regolare i conti con essi. La loro sorte dipende da come hanno agito nel tempo dell’attesa.
I talenti di cui parla Gesù sono la parola di Dio, la fede, in una parola il regno da lui annunciato. In questo senso la parabola dei talenti si affianca a quella del seminatore.

Sosto in silenzio dinanzi alla Parola, lasciandomi plasmare da Essa. Rileggo il brano aiutato da alcuni brani biblici per la meditazione
Ez 3,10; Am 3,8; Is 55,10-11; Mt 13,24- 30; Mt 13,36-43; Col 3,16; 2 Cor 13,5; Rm 7,4; Ef 5,9-10.

Meditare
un uomo che, partendo per un viaggio. 
Ciò che giustifica la consegna dei beni è la partenza per un viaggio. Ci è dato di vivere la ricchezza della misericordia di Dio nella consapevolezza che tutto ciò che ci è dato nasce da quella condizione per cui un uomo è partito per un viaggio. Nella storia della salvezza ritroviamo alcuni riferimenti a dei viaggi: il viaggio di Abramo, il viaggio di Mosè con il suo popolo, il viaggio di Gesù a Gerusalemme. Tutto ciò che siamo non ci deve fare dimenticare che se abbiamo dei doni li abbiamo in virtù di quei viaggi che nella Scrittura sono viaggi soteriologici. In tutto questo ci sta un senso di responsabilità dei cristiani. Il viaggio, deve servire per un maggiore impegno a servire con fedeltà il Signore.
chiamò i suoi servi
Il viaggio del padrone è legato alla chiamata. Sembra rivivere il riposo di Dio al termine della creazione dell’uomo. Egli riposa perché lo ha creato a sua immagine e somiglianza; l’uomo è l’unico a cui può affidare la terra in cui l’ha posto. L’uomo, quindi, è l’amministratore che gode della fiducia di Dio e Dio, ora, può riposarsi.
È nel riposo di Dio che nasce la chiamata e il servizio. In esso esprimiamo in modo sommo ciò che Cristo ha compiuto nel suo viaggio verso Gerusalemme. In fondo, rispetto al viaggio che Gesù ha compiuto, la nostra fedeltà per la nostra condizione di servi è ben poca cosa. Ma è una realtà alla quale il Signore affida un valore immenso se vissuto nella consapevolezza che tutto dovrà essere a lui reso.
consegnò loro i suoi beni. 
L’inizio della vita è la consegna di un patrimonio da parte di Dio a noi. Quel patrimonio non ce lo siamo del tutto meritato ed in fondo non appartiene del tutto a noi, perché della vita non possiamo fare ciò che vogliamo; essa appartiene al Signore ed è un dono che il Signore ci fa.
Il patrimonio qui è descritto in talenti. Un talento corrispondeva a seimila denari ed il denaro che era la retribuzione di un giorno di lavoro.
Un talento erano seimila giornate lavorative.
Gesù usa questa unità di misura per illustrare qualcosa circa la ricchezza che Dio riversa negli uomini.
Tuttavia nel Vangelo il Signore non si sofferma su quanti talenti posseggo. Nelle parole A uno diede dieci talenti, a uno cinque, a un altro due, a un altro uno
Si nota con chiarezza che la distribuzione non è uguale per tutti. Quei talenti rappresentano una varietà di doni e l’evangelista ne sottolinea le qualità umane legate alla persona: le specifiche capacità che poi saranno sviluppate nel tempo e che si trasformeranno anche in abilità particolari.  
Per chi vede la creazione dell’uomo come opera di Dio, non fa la distinzione tra talento e non talento: tutto è un talento.
Non è neppure importante la quantificazione che ci presenta il racconto evangelico; non è questo lo scopo delle parole del vangelo. La questione fondamentale riguarda l’uso dei talenti. Questo è importante. Infatti il modo di usarli è strettamente collegato col modo di intenderli, di concepirli. Il significato che io do ai talenti che posseggo determina l’uso che ne faccio.
Dio ha dotato l’uomo dei Suoi doni, perché dominasse (= amministrasse e facesse ben crescere) il creato, non per dominare (= spadroneggiare) gli altri esseri umani.
Il talento non è dato per prevaricare sul nostro simile; pertanto, dalla quantità di talenti non è lecito sviluppare un senso di superiorità verso il prossimo.
Ciascuno ha una propria dotazione personale datagli direttamente dal creatore. Come cristiani, alla luce di questa parabola ci troviamo davanti ad una vera e propria sfida, la quale, se ci riflettiamo bene, ci impegna più di quanto non pensiamo: quali sono i talenti miei e dell’altro?
se­condo le capacità di ciascuno. 
Il termine usato è dynamin:  che significa: a ciascuno secondo quanto può fare. È il talento che mette in condizione le persone di essere valorizzate. Il carisma non si sostituisce alla persona, ma si incarna. In fondo, è il dono di essere figlio che dà al figlio di essere figlio, se così si può dire, applicandolo a Gesù. Il termine dynamis è il termine usato a proposito dell’azione dello Spirito nella Chiesa, la sua potenza. Il dono non si sostituisce alla persona.
La capacità è legata al dono dello Spirito. Ecco allora l’importanza del discernimento dei doni dello Spirito.

Dopo molto tempo il padro­ne di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 
È il momento della verifica finale, un momento inevitabile. Il regolamento avviene con Colui che ha donato. Ci si deve aspettare il ritorno di Colui che ha donato. L’incontro è con Chi ama. Bisogna trovarsi in comunione con Chi ha donato, con Colui che ama.
L’uomo in ogni istante si trova sempre al cospetto di Dio anche se in noi la “percezione” di questa presenza non è sempre viva. Il confronto però arriva e saremo faccia a faccia. Ciascuno, quindi,  prende piena coscienza di cosa è, di come ha vissuto, delle motivazioni più profonde, di come ha sfruttato le possibilità della vita, delle sue azioni, insomma di come ha trafficato i suoi talenti.

Signore, mi hai consegnato cinque ta­lenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.. Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. 
Viviamo del dono di Dio e della fiducia di Dio; siamo chiamati a rispondere a Dio con la dedizione fedele. Non basta non fare il male per compiere il senso della nostra esistenza: bisogna piuttosto trasformare quello che abbiamo ricevuto secondo i progetti di Dio.
La logica del regno è dunque questa: all’inizio sta un dono di Dio che esprime la sua fiducia nell’uomo e la sua attesa; al dono di Dio l’uomo è chiamato a rispondere col suo dono e cioè utilizzando nel modo migliore tutto quello che ha ricevuto; infine a questo dono dell’uomo risponderà l’ultimo, definitivo dono di Dio che porta l’uomo nella sua stessa gioia. La ricompensa per i servi è soprattutto la partecipazione alla gioia del padrone.
Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 
È l’amore e la fedeltà che ha mosso i due servi. Questi si sono impegnati, perché non hanno avuto paura, hanno saputo amare ed hanno avuto il gusto di poter dare al Signore il patrimonio che avevano ricevuto arricchito con un di più messo dal loro impegno. Se uno vuole trasformare la propria vita, deve partire non con un atteggiamento di paura verso Dio, ma con un atteggiamento di fiducia, deve essere convinto che il Signore lo ami, deve restituire amore per amore. È l’amore che ci porterà a fare ciò che piace a Dio, che ci spingerà a trasformare la nostra vita secondo una forma che sia corrispondente al progetto di Dio.

Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo ta­lento e disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e racco­gli dove non hai sparso". 
Anche colui che riceve poco si presenta al cospetto del padrone. Qui egli confida la sua paura: paura della durezza e della severità del suo padrone. È sempre la natura del rapporto con il Signore che determina il comportamento quotidiano.
Il padrone risponde a tale comportamento: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso. La malvagità è legata alla pigrizia. Il padrone non dice: ‘sapevi che io sono un uomo severo’, ma dice: ‘sapevi che io mieto dove non ho seminato, raccolgo dove non ho sparso’. In queste parole ci sta la logica del dono: mietere e raccogliere dove non si è seminato. Ma non a tutti e dato di comprenderlo. Questa non è severità ma benevolenza da parte di Dio. È l’atteggiamento di colui che ha donato, di colui che ci ha resi capaci della dynamis, della potenza dello Spirito. Il rapporto con i popoli dell’Islam dovrebbe essere vissuto proprio in questo senso.

Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. 
Quest’uomo non ha sentito suo il dono di Dio, forse ha provato solo un favore da parte di Dio… pura grazia. Nelle sue parole si nasconde un imperativo: “riprenditelo!”. Un dono restituito, non è semplicemente rifiuto di un dono, ma rifiuto del donatore. Presa di distanza dal donatore.
Quest’uomo è come se avesse rotto e rifiutato, in certo modo, la relazione di comunione con il Padre Celeste e la Sua logica che tutto è dono. È come se avesse voluto innalzare delle barriere; mettere dei paletti ben piantati in terra per segnare dei confini, come per difendersi da qualcuno che è considerato troppo invadente…
Dio, alle parole di questo suo servo, reagisce.
La parabola del figlio prodigo ci ricorda che Dio interagisce con la vita degli esseri umani, e gli risponde: “avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse”. Tuttavia non dobbiamo lasciarci ingannare dalle apparenze, ossia dalla modalità della risposta.
Il Padre celeste non è un commerciante, né un affarista e non calcola la nostra corrispondenza in termini di dare ed avere, altrimenti saremmo sempre in svantaggio.
Sant’Agostino nelle sue Confessioni (Libro I, 4) ci illumina così:  “Non manchi mai di nulla eppure gioisci nell’acquistare; mai avaro eppure esigi gli interessati si presta qualcosa al fine di averti come debitore…per quanto, chi mai possiede qualcosa che non sia già tuo?”

Dio non vuole i nostri beni, sono già suoi, ce li ha dati lui e non è geloso del dono fatto, ma Dio è geloso dell’uomo, ma di una gelosia che è tutta colma di amore puro, ossia di bene dell’altro.
I talenti sono un suo dono: parto da una ricchezza che ricevo gratuitamente.
Usarli bene è gioco della mia volontà e libertà. Su questo, Dio , mi riconoscerà il merito.

Vivere
Far fruttificare i talenti come a lui piace è il dono che io faccio a Lui…

Pregare
Mi fermo in silenzio lasciando riposare nel cuore questa parola di salvezza, di speranza, con piena fiducia e rispondo col Salmo 127 

Beato l’uomo che teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Vivrai del lavoro delle tue mani,
sarai felice e godrai d’ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Così sarà benedetto l’uomo
che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion!
Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme
per tutti i giorni della tua vita.