mercoledì 20 novembre 2019

LECTIO: IL BUON PASTORE

Lectio divina su Gv 10,1-16

Invocare
O Dio, nostro Padre, che nel tuo Figlio ci hai riaperto la porta della salvezza, infondi in noi la sapienza dello Spirito, perché fra le insidie del mondo sappiamo riconoscere la voce di Cristo, buon pastore, che ci dona l’abbondanza della vita. 
Egli è Dio, e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
1 «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4 E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6 Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7 Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. 11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
Meditiamo sul capitolo 10 di Giovanni incentrato sul tema del buon pastore. Il brano è inserito nella terza parte del “libro dei segni”, dove l’evangelista Giovanni riporta gli interventi fatti da Gesù durante le principali feste liturgiche giudaiche. 
Tutto il capitolo 10 andrebbe letto per intero, in quanto contiene uno stretto legame con il testo precedente (Gv 9: la guarigione del cieco nato, che abbiamo ascoltato nella IV domenica di quaresima) con la ripresa di alcuni temi fondamentali in Giovanni, in particolare la fede in Gesù Cristo e l'accoglienza nel nuovo popolo di Dio. I due capitoli sono a loro volta la parte finale della grossa sezione iniziata al capitolo 7 e ambientata a Gerusalemme durante la festa delle capanne, in cui il tema dominante è la discussione sull'identità di Gesù (con riferimenti simbolici alla festa, quali la luce) e le reazioni di fronte alla sua auto-manifestazione. È evidente il legame pasquale con questo capitolo giovanneo, dove sotto l'allegoria del pastore e della porta si parla dell'unico mediatore che Dio ha inviato per salvare il suo popolo (con riferimenti pure all'Esodo), mediatore che offre la sua vita.
La centralità dell'opera di Cristo Gesù nel piano di salvezza di Dio Padre appare così in piena luce, mostrando che essa si compie nel dare la vita; un modello a cui i discepoli sono invitati a guardare e in cui ogni vocazione nella Chiesa prende forma e può sussistere.

Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 1-3: In verità, in verità io vi dico: 
Questo capitolo inizia con una formula solenne, si introduce una paroimia, ossia un insegnamento simbolico, segreto, misterioso, che prepara ed esige una rivelazione aperta, esplicita (Ilario de la Potterie).  
La formula "in verità, in verità vi dico" preannunzia rivelazioni molto importanti e profonde; una parola molto conosciuta, la traslitterazione dell'Ebr. amen = certamente, veramente, sinceramente, espressione che collega a Gv 9,41.
chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 
Il termine recinto in greco corrisponde ad una parola utilizzata per lo più per indicare il vestibolo del tempio di Gerusalemme, non ha quindi un senso pastorale, ma prettamente religioso. Israele viene presentato come il gregge di Dio che entra nei suoi recinti, ossia negli spazi interni del Tempio (cfr. Sal 100,3-4).
Anche la scelta del termine brigante si riferisce alle vicende storiche del tempo di Gesù e della comunità giovannea; infatti con questo nome erano indicati spesso gli zeloti (anche Barabba è un brigante, cfr. Gv 18,40; Mt 27,16; Lc 23,19) che in azioni dimostrative di contrasto al potere romano entravano nel recinto del tempio. Secondo alcuni esegeti l'evangelista vuole suggerire che essi sono dimostrati falsi pastori che inseguono un falso messianismo.
Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori.
Non mancano i paragoni alla quotidianità. L'immagine del pastore come colui che in nome di Dio guida il suo popolo è usuale nell'AT ed era stata predetta dai profeti (cfr. Ez 34,1-31; Zc 11,4-17).
Qui il guardiano è il portinaio dell'ovile che custodisce le pecore chiuse durante la notte e anch'egli come le pecore riconosce il pastore e gli apre la porta. Il pastore chiama le sue pecore: questo ricorda Is 43,1: "Non temere nulla perché io ti ho riscattato; io ti chiamo con il tuo nome, tu mi appartieni!". Il nome equivale all'essere. Ogni pecora viene chiamata individualmente e questa chiamata va di pari passo con l'appartenenza al pastore come nella sposa del Cantico 2,8.10:  “Una voce! Il mio diletto. Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline. Ora parla il mio diletto e mi dice: Alzati, amica mia, mia tutta bella e vieni!”.  
Giovanni ritrae il comportamento di Gesù nei confronti di coloro che hanno creduto in Lui. Le sue pecore sono coloro che hanno aderito alla parola di Gesù e di cui l'uomo cieco divenuto credente è un prototipo.
vv. 4-5: E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Questi versetti sono in stretta relazione con Nm 27,16-17: "Il Signore, il Dio della vita di ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell'uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore".
Qui Gesù è presentato come capo messianico che Dio pone a guida di una nuova umanità.
Gesù, il pastore, non fa altro che farle uscire dall'ovile, non le segue, bensì le conduce di persona, facendosi avanti ad esse per proteggerle, indicare la via, avviarle al pascolo buono, ed alle acque buone (cfr. Sal 22).
Qui appare un elemento essenziale ed importante del discepolato: l'ascolto. Non un semplice ascolto, di un udire ma di un obbedire ad Essa.
Le pecore ascoltano e seguono fedeli, come i discepoli debbono stare dietro al Maestro. L'estraneo invece non lo seguono, anzi lo fuggono.
v. 6: Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Gesù usa un linguaggio particolare, sconosciuto, quasi velato, engmatico tanto da far dire all'evangelista "essi non lo compresero". Qui va ricordato che quelli a cui Gesù sta parlando sono gli stessi farisei che precedentemente avevano risposto in maniera ironica alle sue parole sul vedere e sulla cecità (Gv 9,42). Infatti, questi, non comprendono perché non vogliono appartenere al gregge del pastore, non vogliono ascoltare la sua voce, né seguirlo: non fanno esperienza del suo amore.
Quindi l'incomprensione viene dalla loro cecità e durezza di cuore (cfr. Gv 9,39-41). I discepoli comprenderanno solo dopo che sarà loro donato lo Spirito Santo (cfr. cc. 14-16).
vv. 7-10: Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 
Gesù si rivela solennemente: "Io Sono". Secondo lo stile giovanneo, l'espressione insinua l'essere divino di Gesù (cfr. Es 3,14) espressione ripetuta con con specificazioni diverse (cfr. Gv 6,35.48.51; 8,12; 11,25 ; 14,6; 15,15).
Gesù si rivela come "la porta". Usando l'articolo, l'evangelista allude che Gesù è l'unica Porta ed esclude altri ingressi. L'immagine della porta come salvezza si trova nel sal 117,20. La porta nel linguaggio biblico non indica soltanto un luogo di passaggio, ma spesso sta a significare la città o il Tempio nel suo insieme (cfr. Sal 87,ls; 122,2).
Rivelandosi tale, Gesù è Colui che introduce nella vera vita, la strada che conduce alla salvezza (cfr. Mt 7,13-14; Lc 13,24-26). Lo sfondo AT è chiarito dal Sal 118,20: "Apriteli le porte della giustizia ed entrerò a rendere grazie al Signore! E' questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti".
Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 
Qui non si fa riferimento ai Patriarchi e ai profeti. SI fa riferimento ai falsi maestri (o messia) che in realtà erano mentitori e non sono stati accolti dal gregge di Israele. Uno solo è il vero Messia, l'inviato dal Padre che Israele attendeva.
Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Ancora una volta, Gesù ripete: "Io sono la porta". Quasi ad insistere che esiste una sola porta da accesso al recinto, sia per il pastore che per le pecore, e questa porta è Lui, Cristo: chi infatti passa per Gesù vivrà la comunione con lui, otterrà i beni della vita divina e troverà la salvezza messianica (cfr. Is 49,4-10; Ez 34,13).
L'indicazione entrare, uscire (v. 9) nello stile semita, indica totalità quindi piena comunione con Gesù il pastore; al contrario del ladro che viene solo per rubare, uccidere e distruggere. egli è il falso maestro, colui che cerca di distogliere i credenti da Dio. 
Le pecore sono del Padre, il quale le ha affidate al Figlio. Nessuno le può distogliere dal Signore, perché il nostro Dio è un Dio geloso, e al di fuori di Lui non vi è che morte e perdizione (intesa nel senso spirituale). Il ladro ruba e ammazza: il verbo thyso, che viene tradotto con "ammazzare", ha in sé un senso sacrificale ( chi vi ucciderà penserà di rendere culto a Dio, Gv 16,2).
Gesù dona la vita in abbondanza. Ossia la salvezza in tutte le dimensioni vitali dell'uomo, la vita eterna già in atto nel credente (vedi 3,17; 12,47). Come abbiamo visto al capitolo 9 nella vicenda del cieco risanato.
Il prosieguo del discorso (Gv 10,11ss) chiarirà il dono della vita in abbondanza attraverso la morte del pastore delle pecore!
v. 11: Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
Nei vv. 7-10, Gesù si presentò come “porta”, in quanto egli è l’accesso alla vita. Ora, continuando il discorso, si presenta come pastore.
Prendendo in mano il testo greco, non abbiamo in Gesù un pastore qualsiasi. Egli è il pastore ideale annunziato nelle Scritture. Dice: ho kalòs che richiama alla bellezza più che alla bontà; tipica caratteristica del pastore vero che dona la vita per i suoi (cfr. 15,13).
Egli è colui che dona, che depone la propria vita. L'espressione è riportata più volte in questo brano (vv. 11.15.17.18). Gesù depone la vita «per» (hyper) le sue pecore. Questa frase richiama Mc 10,45 dove si dice che Gesù dà «la sua vita come riscatto per (anti) molti» (le due espressioni hyper e anti si equivalgono).
Il verbo «(de)porre» (tithêmi) è usato nel senso di offrire in modo consapevole e libero. Tale espressione la ritroviamo nel capitolo 13 per la lavanda dei piedi (cfr. Gv 13,4.12, dove si parla delle vesti, simbolo della vita stessa) è tipica di Giovanni per indicare il libero gesto di Gesù che si mette nella mani del Padre in favore delle pecore, gli uomini e le donne di ogni tempo, in vista della loro salvezza. Ciò scaturisce dall’amore.
La vita viene comunicata soltanto dall’amore, che è dono di sé agli altri (15,13). Il massimo dono di sé è la piena comunicazione dell’amore.
L'immagine del pastore, che troviamo anche nei sinottici in testi diversi su Gesù e le sue opere (vedi Mt 18,12-14; Lc 15,3-7; Mt 9,36-38; Mc 6,34; 14,27; Mt 10,16; 25,31-11; Lc 12,32) ha sullo sfondo molti passi AT ed ha un chiaro valore messianico (vedi Mi 5,3; Ez 34,23-31; Ger 3,15; 23,35; Sal 23; Zc 13,7-9).
vv. 12-13: Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde;  perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
L’immagine che viene presentata in questi versetti è il negativo del pastore. Infatti, il mercenario è colui che ha interesse a riscuotere per quello che fa, lo fa per soldi. Inoltre il mercenario semina l’odio, la malizia, il dubbio, il turbamento delle idee e dei sensi. Il pastore invece no: presta il suo servizio con amore rinunciando al proprio interesse, disposto a dare, deporre la vita per le pecore.
Altra figura negativa è il lupo, che non fa altro che compiere strage: rapisce e disperde. Questa figura negativa è messa in relazione con i ladri e briganti di 10,8.
Gesù non fa altro che raccogliere i figli dispersi (11,52).
Il messaggio è rivolto anche a quanti nella chiesa primitiva e di sempre svolgeranno il ruolo di pastori: anch'essi dovranno essere animati dai sentimenti qui descritti e che anche san Pietro ripropone (vedi 1Pt 5,2-4). Pure negli Atti c'è un eco di questo nel discorso di Paolo a Mileto (At 20,29.31).
vv. 14-15: Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.
Il buon pastore, Gesù, ha una conoscenza particolare di noi, così come testimonia l'AT (cfr. Os 6,6; Am 3,2; Ger 22,16; Sal 139,1-6) e dal contesto biblico generale in cui il verbo greco ginòsko indica una conoscenza esistenziale, intima, profonda dove tutta la persona e la sua esperienza concreta è coinvolta.
Il verbo conoscere usato quattro volte nel brano indica l’amore di Gesù per i suoi discepoli. Fondamento e modello di questo è l’amore reciproco tra lui e il Padre, sorgente ultima.  La particella «come» (kathôs) comporta infatti anche questa sfumatura: è l’amore mutuo tra Gesù e il Padre che viene esteso a coloro che credono in lui, i quali perciò non sono solo amati da Gesù ma sono resi partecipi della sua comunione di vita con il Padre.
Questa conoscenza è emersa in 10,4-5 ed ha come riferimento e matrice la conoscenza tra il Padre e il Figlio, si tratta di una conoscenza reale e intensa, dall'amore (cfr. 1Cor 8,3), basata anch’essa sulla comunione di Spirito (1,32; 4,24).
Ora, questa relazione fra Gesù e i suoi è creata dalla partecipazione allo Spirito (1,16).
v. 16: E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Gesù esplicita altre pecore che non sono di questo ovile e che egli deve pure condurre. Vuol dire chiaramente che lʼattuale comunità di fede non esaurisce il concetto di comunità di Gesù, ma ne rappresenta solo lʼinizio. Le altre pecore sono i gentili, i pagani, che entreranno a far parte della comunità messianica. Anch’essi ascolteranno la «voce» di Gesù, cioè crederanno in lui. I verbi al futuro si riferiscono a un tempo successivo, quello in cui la chiesa svolgerà la missione universale che le è stata affidata dal Risorto (cfr. Mt 28,19). Infatti, nelle parole di Gesù vi è anche il futuro della Chiesa. La sua missione non si limita al popolo giudeo, si estende a tutti i popoli (11,52-54).
Questo universalismo è in consonanza con la concezione di Giovanni che, fin dal Prologo, colloca il suo vangelo nel contesto della creazione. Nel pensiero dell’evangelista Giovanni uno degli effetti della morte di Cristo è il raccogliere nell’unità i dispersi (cfr. 11,52).  

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Quale rapporto ho con Gesù? Come vivo la mia fede in Lui. Il mio cammino verso il Padre attraverso Lui? È solo uno dei tanti mediatori di cui mi servo per orientare la mia vita?
Gesù è il pastore per eccellenza. Mi apro a questa rivelazione o rimango nelle tenebre della mia presunzione e autosufficienza?
Sono capace di ascoltare la voce del buon Pastore?
Mi nutro della Parola (ascolto la sua Voce) per entrare e uscire e trovare vita nella mia esperienza di fede?
Gesù, Pastore buono, vive la follia dell’amore. Mi sento pensato, amato, salvato, chiamato? Oppure penso che sia una elite riservata?
Pensando alla mia famiglia o alla mia comunità, come la mantengo unita come unico gregge?
Sono facile a dire “sono abbandonato dal Pastore”. Io, quando mi isolo dal gregge?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. (Sal 22).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Invoco il dono dello Spirito Santo e chiedo a Lui, che è Amore, di farmi conoscere più intimamente Gesù e di stabilire una relazione più profonda con Lui, ascoltando la sua voce e lasciandomi guidare da Lui.